“Investite in vino, male che vada potrete sempre berlo.”
Questa celebre frase di Gianni Agnelli, grande appassionato e collezionista di vini rari, appare in ogni articolo che parla di vino come investimento. Noi ci siamo tolti subito il pensiero e la abbiamo usata direttamente come titolo.
Osservato l’obbligo dell’omaggio all’avvocato soffermiamoci su queste 3 parole : “mal che vada”, ebbene questa possibilità non si è mai verificata nel mondo del vino da collezione negli ultimi decenni. Anche nel 2008, mentre affondava Lehman Brothers trascinando con sé i titoli di mezzo mondo, il rendimento di Nobles Crus, il più famoso fondo d’investimento focalizzato sul vino, viaggiava a +20%.
Ma i vini da investimento si sono rivelati immuni anche alla crisi degli spread e dei debiti sovrani, chiudendo il 2011 con circa il 10% di attivo e fino ad oggi non si è mai visto il segno meno.
I numeri e le statistiche ci dicono che investite in vino è molto vantaggioso, specialmente negli ultimi 10 anni.
Ma quand’è che un grande vino diventa un bene d’investimento?
“Quando presenta alcune caratteristiche imprescindibili”.
Primo: deve essere longevo, perché se un grande vino non migliora invecchiando non sarà mai tenuto in considerazione.
Secondo: la costanza, perché gli investitori non si fidano di aziende dai risultati altalenanti.
Terzo: il brand e la riconoscibilità non solo del marchio, ma anche della zona da cui proviene.
Quarto e ultimo: la rarità, perché ci sono ottimi vini che fanno un milione di bottiglie l’anno ma i grandi numeri determinano l’inevitabile perdita di attrattività.
Ad ogni modo esistono etichette come il memorabile 1985 di Sassicaia ed ora il 2015 (Tenuta San Guido, Toscana), diverse annate di Masseto e Ornellaia (Frescobaldi, Toscana) e un paio di Monfortino di Giacomo Conterno (Barolo, Piemonte) che possono condividere con i più prestigiosi Lafite, Latour, Mouton e Romanée-Conti lo spazio nella tabella dei best performer, vini su cui investire ora e in futuro.
Cosa può fare invece il semplice appassionato? Diverse “nuove” zone sono sotto osservazione. Le principali sono due territori di grande tradizione come la Mosella per il Riesling, in Germania, e il nord del Portogallo per il Porto: promettono bene, al pari della zona di Avellino per il Taurasi e dell’Etna per le enormi potenzialità dei suoi vini lavici. Certo non arriveranno mai ai ventimila euro di certe etichette francesi, ma poco importa ai gestori di un fondo: i quali, per utilizzare un termine in voga, più che al valore assoluto, badano allo “spread”, inteso qui come differenza tra prezzo di acquisto e di vendita.
La cosa più semplice ed immediata da fare è ricopiare in piccolo la composizione del portafoglio, pardon la cantina, dei grandi investitori. Con acquisti periodici, anche di poche bottiglie per volta si può creare nel tempo una cantina di tutto rispetto che incrementerà il suo valore nel tempo. E ben che vada se ne potrà sempre bere qualche bottiglia.